Era il luglio 1982 e Atari, che all’epoca era una delle aziende tecnologiche di maggior successo, aveva pagato 21 milioni di dollari per i diritti sulla licenza E.T. L’extra-terrestre, il film campione di incassi di Steven Spielberg. “Ero molto emozionato dall’idea di poter lavorare con Steven Spielberg”, ha detto Howard Scott Warshaw in una recente intervista alla BBC. “Doveva essere il miglior videogioco sulla Terra”. Ma questo videogioco è tristemente famoso perché considerato il “peggior videogioco di sempre”.
Atari chiese a Warshaw di completare il progetto in sole cinque settimane. A quei tempi era considerato come uno dei maggiori talenti nel campo dello sviluppo e aveva appena terminato i lavori sul tie-in di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta. Lo stesso Spielberg lo considerava un “genio garantito” della programmazione dei videogiochi.
“Un giorno ho ricevuto una telefonata dal CEO di Atari”, racconta Warshaw alla BBC. “E mi chiedeva se avessi potuto realizzare il videogioco su E.T. Certo! ho risposto immediatamente”. Su due piedi pensava che la consegna sarebbe stata quella della stagione natalizia: certo le tempistiche erano strette ma la cosa rimaneva fattibile. I giochi per l’Atari 2600 andavano memorizzati su cartucce che richiedevano diverse settimane per essere fabbricate e rese pubblicabili.
“Ne abbiamo bisogno per l’1 settembre”, disse la voce all’altro capo della cornetta. Warshaw insomma aveva cinque settimane per farlo, mentre a quei tempi servivano dai 6 agli 8 mesi per creare un videogioco di quel tipo. “Comincia a pensare al design del gioco perché giovedì incontrerai Steven Spielberg”, gli disse il CEO di Atari. Warshaw era entusiasta della cosa, ma forse sottovalutò l’impatto che quel gioco avrebbe potuto avere su Atari, e non solo.
Warshaw si recò alla sede di Atari a Sunnyvale, nella Silicon Valley, per proporre la sua idea di gioco a Spielberg. Aveva pensato a un gioco d’avventura in cui E.T. sarebbe dovuto andare alla ricerca di componenti per costruire il suo telefono inter-planetario e fare la famosa telefonata “a casa”.
“Dissi a Spielberg che secondo me era molto importante fare qualcosa di innovativo. E.T. era un film che segnava un’epoca e per questo anche il videogioco avrebbe dovuto farlo nel suo campo. Ma restava il problema delle cinque settimane”.
Per Atari era indispensabile che quel gioco fosse un successo, anche in considerazione della cifra spesa per ottenere la licenza. Nel 1982 aveva fatto registrare vendite per 2 miliardi di dollari, ma cominciava a sentire il fiato sul collo del Commodore 64, che stava riscuotendo un grande successo di pubblico.
“È stato il lavoro più difficile che io abbia mai fatto nella mia vita”, ha detto ancora Warshaw alla BBC. Anche perché ha sviluppato il gioco completamente da solo in un’epoca pionieristica per il mondo dei videogiochi e della tecnologia che viveva di regole ben diverse da quelle odierne. “Ho iniziato a lavorare in ufficio, ma ben presto mi sono reso conto che andare a casa, mangiare e dormire diventava un problema, perché mi toglieva troppo tempo”.
“Così ho deciso di fare tutto a casa per ottimizzare al massimo i tempi. Mi è stato assegnato un tutor in modo che Atari fosse sicura che io mangiassi regolarmente e che quindi fossi in grado di andare avanti”.
Atari aveva previsto di stampare 4 milioni di copie del videogioco di E.T. e allo scopo investì 5 milioni di dollari. Allestì quella che per l’epoca era la più grossa campagna pubblicitaria mai fatta per un videogioco. Furono preparati diversi spot televisivi, alcuni dei quali con la presenza dello stesso Spielberg, mentre Warshaw fu invitato a partecipare a una premiere nel Regno Unito alla presenza della Principessa del Galles.
“I dirigenti di Atari credevano che la sola presenza di E.T. sulla copertina fosse garanzia di grandi guadagni”, racconta oggi Warshaw. Naturalmente tutto questo metteva il programmatore in condizioni di grande pressione, anche perché cominciavano a circolare voci sulle difficoltà tecniche che affliggevano lo sviluppo. Tutti segnali che purtroppo facevano emergere una certa ignoranza su quelle che sono le richieste dei giocatori a proposito di qualità e di profondità di gioco, un’ottusità che certo non si può dire non esistere più ai giorni nostri.
Il gioco uscì nei tempi prefissati ma era evidente che c’era qualcosa che non andava. In molte circostanze, infatti, i giocatori potevano bloccarsi definitivamente senza poter fare più niente per proseguire nell’avventura. Si capì subito che le vendite per Atari sarebbero state molto deludenti. Dopo la stagione natalizia erano state vendute 1,5 milioni di copie, ben al di sotto delle stime iniziali del produttore. Non solo, visto che il caso fece molto discutere mettendo in cattiva luce l’intero mondo dei videogiochi e producendo vistosi cali nelle vendite anche per altri produttori.
Per il secondo trimestre dell’anno fiscale 1983 Atari annunciava perdite per 310 milioni di dollari. “È impressionante essere riusciti ad abbattere con un semplice programma di 8 kilobyte un’intera industria di miliardi di dollari”, commenta Warshaw che, però, come stiamo vedendo, ha molte scusanti a suo favore.
L’industria era satura e gli sviluppatori non riuscivano a creare prodotti veramente creativi. I produttori ridussero i prezzi dei giochi, ma non fu abbastanza e, fra le tante azioni dello stesso tipo, Warner decise di disimpegnarsi da Atari. “Era troppo per me, e per questo mi presi una pausa e mi dedicai ad altro”, dice ancora il programmatore di E.T. “Dopo diversi anni sono tornato nell’industria dei videogiochi e ho ripreso a programmare, ma ormai aveva un altro fascino rispetto a quei tempi”. Nel 2008 ha quindi deciso di riqualificarsi come psicoterapeuta.
Oggi Warshaw si definisce come lo psicoterapeuta della Silicon Valley. “Usi la tua storia di fallimento colossale per aiutare i tuoi pazienti?” gli è stato chiesto. “Si, a volte la uso”, è la sua risposta.
La storia del videogioco di E.T. L’extra-terrestre ha una parte più famosa. Negli anni ’80, infatti,Atari sotterrò nel deserto moltissime delle copie invendute del gioco. Le quali sono state recentemente ritrovate e tutta la storia è diventata protagonista di un documentario.
“Non ci credevo, mi sembrava assurdo”, commenta Warshaw. “Ma quando siamo andati lì per assistere agli scavi c’era una folla enorme di appassionati provenienti da tutte le parti del paese. Era una sensazione molto strana, come se il tuo passato venisse improvvisamente riesumato. Ma da un certo punto di vista era una sensazione positiva, perché quel piccolo gioco che avevo creato molti anni prima suscitava ancora così tanto entusiasmo”.
Probabilmente E.T. non è effettivamente il peggior videogioco di tutti i tempi, conclude la BBC, ma la sua storia corrisponde così perfettamente all’inizio della crisi dell’industria dei videogiochi degli anni ’80 da diventarne indissolubilmente il simbolo.