Il maggiore di quattro fratelli, Augusto, ha la responsabilità di una famiglia di anormali; il più giovane, Leone, è epilettico e pazzo, la sorella Giulia è ferma ad uno stadio infantile, mentre il terzo, Sandro, è affetto da mania omicida, ed uccide prima la madre, poi Leone. Giulia sta per diventare sua complice, ma all’ultimo si tira indietro inorridita.
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La storia si svolge in uno spazio chiuso, angosciante, dove vivono i componenti di una famiglia borghese piacentina senza pace, malsana e autodistruttriva, talmente attaccati gli uni con gli altri, che soli non hanno ragione di esistere:
- la madre, cieca, ancorata ai ricordi
- il fratello minore Leone, affetto da ritardo mentale ed epilessia: un ragazzo tenero, indifeso ed immensamente dolce ma inutile agli occhi degli altri familiari
- Augusto, il fratello maggiore, l’unico “normale”, cinico e mediocre, che aspira a farsi una propria famiglia, al benessere economico, all’integrazione nella società ad ogni costo
- Giulia, l’unica sorella, molto curiosa nei confronti dei vari aspetti della vita (spia le prostitute) e apparentemente normale, è in realtà anch’essa disturbata e ferma psicologicamente ad una preadolescenza che la lega morbosamente al fratello Sandro, al punto da consumare un incesto
- Alessandro, o Sandro: pazzo ed epilettico anch’egli, è tuttavia anche lucido nell’avvertire il disagio della famiglia, un disagio che lo ossessiona al punto da desiderare la morte dei componenti. Sandro non sa uscire dalla propria autocontemplazione, dal suo estremo narcisismo e non sa crearsi nessun rapporto se non all’interno dalla famiglia.
Produzione
Il film venne realizzato in grande economia e circolò con una distribuzione indipendente. La famiglia Bellocchio contribuì alla realizzazione del film: il fratello di Marco Bellocchio, Tonino, finanziò l’opera con cinquanta milioni; l’interno della casa è quello della madre del regista[3].
Le riprese in esterno furono girate tra Bobbio e Piacenza. Il montaggio fu curato da Silvano Agosti che usò lo pseudonimo di Aurelio Mangiarotti (un suo amico muratore che viveva in Francia). Per completare il lavoro, Silvano Agosti impiegò 26 giorni in totale autonomia[4].
Cast
Lou Castel e Paola Pitagora in una scena del film
Per il ruolo di protagonista era stato contattato Gianni Morandi. Per il ruolo di Giulia, Bellocchio aveva pensato a Susan Strasberg e a Raffaella Carrà, per quello di Augusto aMaurice Ronet.
Lou Castel, nel ruolo di Alessandro, è riuscito genialmente a modificare il suo personaggio, aggiungendovi una dolcezza imprevista che lo rende ancora più crudele e tagliente. Meravigliose le scene in cui si abbandona totalmente a sé stesso pensando di non essere visto (per esempio davanti alla madre cieca). Durante le riprese Castel aveva spesso reazioni esilaranti o violente, costringendo la troupe a interrompere le riprese o il regista a modificare una scena; Masé reagiva male alle provocazioni di Castel, giungendo anche a schiaffeggiarlo[5]. Pur recitando in italiano nel film, Castel fu doppiato a causa del forte accento straniero.
Distribuzione
Una scena del film
L’opera prima di Bellocchio vinse alla Mostra del Cinema di Venezia il Premio Città di Imola (attribuito in precedenza tra gli altri a Ermanno Olmi, Eriprando Visconti, Gian Franco De Bosio, Pier Paolo Pasolini per Il vangelo secondo Matteo), premio che intendeva rappresentare il gusto e la passione per il cinema della provincia italiana. Bellocchio non poté ritirare personalmente il premio (una statuetta rappresentante un Grifone dorato) perché ricoverato all’Ospedale Militare del Celio a Roma, ma si affeziono’ alla città di Imola, tanto da girarvi nel 1966 il suo secondo film La Cina è vicina. I pugni in tasca fu proiettato per la prima volta in pubblico il 31 ottobre 1965 (v.c. n. 45471 del 28-7-1965). Fu distribuito anche in Francia (Les poings dans les poches – Hyères, maggio 1966 – 85′), Germania Occidentale (Mit der Faust in der Tasche – 5-12-1969 – 108′), Gran Bretagna (Fists in the Pocket – 1966 – 113′) e USA (Fist in His Pocket – 1968 – 105′).
Note
- ^ I pugni in tasca, 50 anni fa debutto shock Bellocchio
- ^ Rete degli Spettatori
- ^ Sandro Bernardi, Marco Bellocchio, Il Castoro, 1978, pag. 28
- ^ dichiarazioni rilasciate al sito www.formacinema.it [1]
- ^ Sandro Bernardi, id.
Collegamenti esterni
- Intervista a Marco Bellocchio
- Link per lo streaming del film autorizzato SIAE licenza LICENZA SIAE posizione n. 2308/I/2302 I pugni in tasca
- (EN) I pugni in tasca in Internet Movie Database, IMDb.com Inc.
I pugni in tasca, 50 anni fa debutto shock Bellocchio
A Locarno restaurato, poi in sala. Nuovo film in gara a Venezia

Una vicenda di solitudine e malattia, in una villa isolata sull’Appennino emiliano, stanze claustrofobiche e vite apparentemente immobili pronte ad esplodere. E’ il 1965 quando I pugni in tasca, il film dell’allora esordiente Marco Bellocchio, 26 anni, diventa un caso nazionale. I più illustri intellettuali del tempo – Soldati, Calvino, Moravia, Pasolini – ne dibattono. La critica lo annovererà tra i film manifesto, in grado di anticipare in qualche modo i fermenti del ’68.
La pellicola ottiene la Vela d’argento per la miglior regia al Festival di Locarno. A distanza di 50 anni, I pugni in tasca torna al festival in versione restaurata nell’ambito della 68/a edizione che premia il regista con il Pardo d’onore Swisscom. Il restauro è stato sostenuto da Giorgio Armani, prodotto da Kavac Film e realizzato da Cineteca di Bologna (di cui Bellocchio è presidente) nei laboratori de L’immagine ritrovata. Il film tornerà in sala in autunno, distribuito a livello mondiale da The Match Factory. Bellocchio volerà poi alla 72/a edizione della Mostra del cinema di Venezia, dove è in concorso con Sangue del mio sangue. Tre anni dopo Bella addormentata, il regista piacentino torna in gara con una storia a cavallo tra due epoche, il ‘600 e i giorni nostri, che ha per protagonista Federico, un giovane uomo d’armi interpretato dal figlio Pier Giorgio (nel cast anche Roberto Herlitzka, Filippo Timi e Alba Rohrwacher).
In ogni caso, tutto comincia con I pugni in tasca. Protagonisti, quattro fratelli, orfani di padre e una madre cieca (Liliana Gerace). La storia si macera e si distrugge tra le personalità distorte dei componenti della famiglia. Ale (Lou Castel) è affetto da crisi di epilessia ed è morbosamente legato alla sorella Giulia (Paola Pitagora), a sua volta insicura ma innamorata del fratello maggiore, Augusto (Marino Mosè), l’unico che ha una vita volta verso l’esterno, regolarmente fidanzato ma cinico, dalle ambizioni borghesi. La ragazza fa di tutto per boicottare il fidanzamento del fratello, che è un uomo meschino, si vergogna della sua famiglia, non ha remore ad andare a prostitute, è tutto meno che un santo, anche se è l’unico su cui pesano i bilanci domestici. In quanto all’ultimo, Leone, è silenzioso, ritardato e a sua volta epilettico, classica vittima designata. Ale decide di liberare la famiglia dai suoi legami malati. Uccide la madre scaraventandola da una scarpata e poi affoga Leone. Giulia, quando lo scopre, ha una crisi, cade dalle scale e rischia di rimanere paralizzata. L’ignaro Augusto annuncia di voler andare via da casa e Ale lo blocca rivelandogli i propri crimini e minacciandolo. La sorella, incerta tra l’ammirazione e la paura, scivola dalle scale rimanendo semiparalizzata e Ale è tentato di ucciderla. Mentre ascolta inebriato La traviata saltella e danza, ma viene assalito da una forte crisi epilettica: chiama aiuto, ma Giulia non interviene, e il ragazzo muore.
Nel corso degli ultimi anni Bellocchio ha più volte parlato dei Pugni in tasca. Nel 2013 spiegava: “Era tutto molto diverso. Gli anni Sessanta erano anni difficili, il cinema era ancora molto legato alla politica, c’era un nucleo storico di registi che avevano contribuito alla grande storia del cinema italiano e altri più giovani che testimoniavano i fermenti della società che avrebbero poi portato a soluzioni drammatiche”. “La cosa che colpisce di più, oltre a una storia che dà ancora turbamenti – sottolineava ancora – è che questo film conserva ancora una forza, continua ad avere qualcosa di insolito, un coraggio e una volontà di non adeguarsi ai modelli dell’epoca”.
Con il restauro dei Pugni in tasca Armani prosegue il suo sostegno al mondo del cinema. Oltre ad aver creato i costumi di più di d200 film, ha anche collaborato alla preservazione e al restauro di pellicole importanti, provenienti da tutto il mondo. “Quando ero bambino – ha detto lo stilista – il cinema era per me la più bella delle vie di fuga dalla realtà. Mi piaceva immaginare ogni volta di vivere le stesse avventure e le stesse emozioni dei protagonisti dei film. Aver avuto nel corso della mia carriera la possibilità di lavorare con i più grandi registi e attori, dando vita a storie magnifiche, e poter contribuire alla conservazione del patrimonio cinematografico è in un certo senso un sogno che si è avverato”.