Dall’inverno innevato all’estate incipiente, la gang dei Peanuts vive la quotidianità di un semestre scolastico seguendo dinamiche ormai consolidate: Lucy insegue Schroeder, Schroeder suona il piano, Piperita Patti viaggia in simbiosi con Marcie, Snoopy battibecca con Woodstock, Charlie Brown si innamora della ragazzina dai capelli rossi e Linus gli dà consigli da migliore amico, armato di coperta.
Chi temeva che l’ennesima trasposizione cinematografica della saga dei personaggi creati da Charles Schulz fosse un’operazione kitch e priva di poesia sbagliava di grosso: nonostante gli innumerevoli compromessi per rendere Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts appetibile ai bambini di oggi il risultato è piacevolmente naif, i caratteri sono rispettati alla lettera così come le loro interazioni, e i tormentoni della serie ci sono tutti – dal pallone di rugby sfilato all’ultimo momento da Lucy sotto il naso di Charlie al chioschetto della psicologa a 5 cent a seduta, dall’aquilone che non vola mai alla nuvola di sporcizia che circonda Pig Pen, dal Barone Rosso con cui Snoopy combatte la sua eterna battaglia all’incipit letterario “Era una notte buia e tempestosa” che appare in caratteri tipografici sopra la cuccia rossa del bracchetto più famoso del mondo.
Qualcuno obietterà che i personaggi sono stati alleggeriti di quella malinconia esistenziale che caratterizzava i nipotini della psicanalisi, ma volendo confezionare un film per bambini del Ventunesimo secolo e non un prodotto vintage per adulti nostalgici, era legittimo aggiornare le sensibilità della serie a un pubblico cinematografico meno cervellotico e più abituato a lasciarsi catturare da immagini in veloce movimento e storie raccontate con leggerezza.
La regia si sbizzarrisce soprattutto con le fantasie di Snoopy, e dunque i suoi inseguimenti aerei, i suoi appostamenti da avvoltoio, le sue esibizioni nei panni di Joe Falchetto sono pirotecniche e si concedono quella libertà creativa e cinetica che le vignette di Schulz dovevano imbrigliare nel formato statico della striscia quotidiana. I personaggi sono ben descritti nella loro essenzialità, così che anche i più piccoli e coloro che non sono cresciuti a pane e noccioline possono immediatamente identificarne le caratteristiche salienti: si tifa per Charlie, si vorrebbe essere Snoopy, si detesta Lucy Van Pelt, ci si innamora non della insulsa ragazzina dai capelli rossi ma di Piperita Patti, l’hippie supercool separata alla nascita dall’altra lentigginosa della letteratura under 13, Pippi Calzelunghe.
La sceneggiatura intesse con agilità e intelligenza gli elementi che hanno reso immortale i Peanuts: l’ironia, l’immaginazione, l’imbarazzo esistenziale, i tormenti dell’infanzia, le tradizioni dell’America anni ’50, l’assenza degli adulti ridotti a brontolio fuori campo. Mancano gli agganci all’attualità, le spigolature psicanalitiche, e soprattutto il senso di ineluttabilità nel destino tragicomico di Charlie. Ma i piccoli spettatori risponderanno bene al suo riscatto finale, e si riconosceranno nel bambino dalla testa tonda e la maglietta gialla con la greca nera, più che in Linus, relegato a personaggio minore, non più icona di intellettuali nevrotici e tormentati.
Charlie Brown, sfortunato, imbranato e inadatto a ogni tipo di successo, intravede una luce in fondo al tunnel, quando una misteriosa ragazzina dai capelli rossi entra a far parte della sua classe. Ma come far colpo su di lei se si è un signor nessuno? L’aiuto di Snoopy, cane navigato, è come al solito piuttosto autoreferenziale, ma forse l’inaspettato trionfale risultato di un test scolastico potrà rappresentare una svolta per la reputazione del buon vecchio Charlie Brown.
Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts è una celebrazione affettiva di un mito intergenerazionale che debuttò ben 65 anni fa, per mano di un uomo che aveva sempre sognato di creare un fumetto: Charles M. Schulz. Imparò a disegnare per corrispondenza e creò un mito. Non solo: rivoluzionò l’arte della strip, raccontò se stesso e noi tutti, generando icone grafiche ed emotive, al limite del proverbiale. Il colossale e ragionato rispetto con cui il regista Steve Martino(Ortone e il mondo dei Chi) e il team Blue Sky si sono avvicinati al materiale per un attimo ha fatto sperare in un miracolo chi non si è mai riconosciuto nelle trasposizioni animate, decollate nel 1965.
Come opera di non facilmente definibile carica poetica trasversale, i Peanutscalzano come un guanto all’anima di chi li legge, grazie all’esposizione fedele del proprio dibattito interiore che Schulz operò sulla pagina. Per questa ragione, strettamente legata poi alla natura rapida e fulminante della strip autoconclusiva, la versione animata dei Peanuts è sempre stata parziale. L’animatore e regista Bill Melendez fu il secondo padre di Charlie Brown, confezionando, con lo stesso Schulz alle sceneggiature, quattro lungometraggi cinematografici e svariati special televisivi non solo più buonisti, ma anche più lineari nella lettura. In definitiva: per bambini, un target ristretto nell’epoca in cui il cartoon, tra un Ghibli e un Pixar, parla a tutti in ogni nazione.
Snoopy & Friends aderisce dunque a quella forma mentis originale di Melendez(tema musicale di Vince Guaraldi incluso). Non riparte da zero, dalla pagina, per cercare la sua direzione: non a caso la ragazzina dai capelli rossi si vede e ha un volto, così come Schulz volle purtroppo che accadesse in un vecchio special televisivo. La Blue Sky cerca equlibrismi inquadrandola il meno possibile; analogamente, quando mette in scena con spettacolarità i voli pindarici diSnoopy contro il Barone Rosso, non inquadra mai il fondo della sua cuccia. Sanno che rappresentare l’insondabile è pericoloso, cercano di limitare i danni. Dopotutto, forse è ingenuo sperare che la capriola della strip possa funzionare nell’audiovisivo: gli stessi Peanuts, doppiati da bambini, prorompono in frasi troppo complesse per la loro età. E’ l’impagabile e significativa magia del fumetto, la sua vera essenza, che però nella trasposizione sullo schermo non suona naturale come nella mente (e nel cuore) di chi legge.
Martino e la sua squadra non compiono quindi un miracolo forse impossibile, ma ne compiono un altro inaspettato: sul piano visivo e registico, Snoopy & Friends è uno dei lungometraggi animati ad alto budget più originali e freschi da anni a questa parte. Se Melendez fece il possibile per animare il segno già molto sintetico di Schulz, rischiare ora addirittura una versione in CGI di quello stile era un terreno a dir poco minato. Martino evita la trappola del fotorealismo, senza perdere l’essenza della tradizione, ma anzi donandole plasticità, colori vibranti, illuminazione sensata e un ritmo preciso, incessante. In quest’ottica i Peanuts in animazione non sono mai stati così convincenti e accattivanti: creare modelli 3D, animarli a scatti e delegare a un segno manuale espressioni degli occhi e del viso, sembra l’uovo di Colombo quando si è davanti al film. E’ però un risultato storico da non sottovalutare, perché c’è dietro una gran quantità di prove e studi; come diceva il maestro Chuck Jones: “Tutte le grandi imprese sono fatte dal 90% di fatica e dal 10% d’amore, ma si deve vedere solo l’amore”.
E di amore in Snoopy & Friends se ne vede tanto, anche se la strip rimane un inafferrabile fenomeno, i cui irripetibili ingredienti son volati lassù, insieme aSparky.
News:
“Peanuts”, ovvero “noccioline”, è il nome di una striscia a fumetti, creata dalla matita e penna di Charles Monroe Schulz, che, quotidianamente, per quasi cinquant’anni – dal 2 ottobre 1950 al 13 febbraio 2000 – è apparsa sui quotidiani di tutto il mondo, e che ancora tutt’oggi viene ristampata da numerosi editori. Basta dire i nomi Charlie Brown e Snoopy che subito vediamo l’immagine del bambino timido, introverso, con l’inimitabile ciuffetto, e il suo fedele bracchetto: abitano un mondo “a misura di bambino” in cui i piccoli fanno da padrone, e gli adulti non sono mai mostrati e sono solamente voci che provengono dal fuori campo.
Dopo numerosi cortometraggi e i lungometraggi tratti dalla striscia a fumetti, è arrivato nelle sale cinematografiche il primo film in CGI: “Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts”, voluto dal figlio del compianto Schulz, Craig, e dal nipote Bryan che ha scritto la sceneggiatura. Alla regia c’è Steve Martino, che ha già diretto “L’era glaciale 4” e “Ortone e il mondo dei Chi” (entrambi della casa di produzione Blue Sky Studios, che ritorna qui per i “Peantus”).
A livello stilistico questo film riesce a mantenere integro il mondo disegnato da Schulz, gli fa omaggio, rendendolo appetibile anche alle nuove generazioni e mantenendo il fascino che ha contraddistinto i personaggi e le loro avventure, senza snaturarli, pur utilizzando la computer grafica, e miscelando bene un 3D alla bidimensionalità caratterizzante le strisce a fumetti: basti dire che Steve Martino e i suoi collaboratori hanno trascorso più di un anno a studiare lo stile di disegno del papà di Charlie Brown e soci.
Ritroviamo quindi tutti i personaggi, le situazioni e i luoghi che gli appassionati ricordano bene: lo sfortunato Charlie Brown col suo malessere esistenziale, le sedute psicanalitiche di Lucy, i siparietti di Snoopy e l’uccellino Woodstock (nel film il beagle è il protagonista di una sua storia battuta alla macchina da scrivere in cui si immagina di combattere contro il famoso aviatore, il Barone Rosso, per tentare di conquistare il cuore della cagnolina Fifi), l’albero mangia-aquiloni, Schroeder e il suo pianoforte, Linus e la sua inseparabile coperta, senza dimenticare il pattinaggio sul ghiaccio, l’hockey e le partite di baseball, anche se sono solo accennate.
Se lo stile viene ripreso fedelmente, i contenuti e i temi delle tavole a fumetti vengono alleggeriti di quel pessimismo di fondo, di quella filosofia miscelata all’ironia che ha fatto la fortuna dei “Peanuts”, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Charlie Brown, nel film impegnato a dare una svolta alla sua vita per riuscire a conoscere la ragazzina dai capelli rossi (che qui viene mostrata, a differenza del fumetto che è solo citata) di cui si è innamorato. E, sì, alla fine Charlie Brown diventa l’eroe della situazione, viene riconosciuto socialmente, cosa che nei fumetti non avviene mai, e l’unica cosa che Schulz ci vuole dire è di rimanere ancorati ai propri sentimenti, di rimanere fedeli ai propri ideali anche se utopici, di vivere la quotidianità, apparentemente senza alcun senso, rimanendo insieme agli amici.
Quello che c’è di buono, anzi, ottimo in questo film è la comicità slapstick e l’ironia genuina ripresa da Schulz, che si oppone a quella stupida, infantile e fracassona degli esserini gialli – permettetemi adesso un’incursione in prima persona in questa recensione: sì, sto parlando proprio dei minion, eloquente sintomo di una comicità d’animazione sempre più banale e che, almeno per me, non fa realmente ridere e che è solamente fine a se stessa.
Ci vogliono più film di questa genuinità, semplicità e che ci riportano al vero significato dell’animazione: narrare storie apparentemente semplici, facili, ma che vogliono avere la funzione di dirci qualcosa in più sulla vita, di farcela conoscere quasi meglio di quando la si vive, facendoci sedere al cinema insieme ai nostri figli, senza la paura di vedere sullo schermo accozzaglie di scorregge e pernacchie, che alla lunga diventano banali, e stufano, facendoci capire che queste “volgarità” non devono diventare un luogo comune dell’animazione e che possono essere evitate per non fare abituare il pubblico dei piccini a ridere solamente con esse.
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